Il 17 novembre scorso si è tenuto il congresso “A Joint in Rheumatology 2012” organizzato dalla Università di Roma Tor Vergata, presso la prestigiosa sede di Villa Mondragone. L’incontro si prefiggeva l’obiettivo di trattare le più recenti nozioni relative alla diagnosi e al trattamento delle principali malattie autoimmuni. Nella prima parte della giornata l’attenzione è stata rivolta principalmente alle artriti: Artrite Reumatoide, Artrite Psoriasica e Spondiloartriti.
Le comunicazioni orali della mattina sono state:
- Early Rheumatoid Arthritis, M Di Franco
- Early Psoriatic Arthritis, M. S. Chimenti
- Muscoloskeletal Ultrasound and Arthitis, A. Iagnocco
- Therapeutic Strategy in RA: from the pyramid to treating to target, F. Conti
- Immunogenicity of Biologics, F.R. Spinelli
- New Biologics, C. Iannuccelli
- Treatment of patients with comorbidities, R. Giacomelli
- Biologics in Spondiloarthropaties, M. S. Chimenti
Successivamente i Professori Y. Shoenfeld e G. Valesini hanno tenuto due letture dal titolo:
Narcolepsy-the 81stAutoimmune disease. Lesson learned from adjuvanted vaccines.
Toll Like receptors in RheumatologyIl pomeriggio è stato dedicato all’approfondimento delle nuove scoperte nel campo delle connettiviti. In particolare è stato dato ampio spazio alla trattazione del Lupus Eritematoso Sistemico (LES) del quale sono stati approfonditi gli aspetti clinici e le principali opzioni terapeutiche.
L’intervento della Dott.ssa Conigliaro ha messo in evidenza la necessità di identificare la presenza di markers precoci di diagnosi per il LES. Ad oggi i dati disponibili sono numerosi ma non dirimenti. Recenti studi hanno evidenziato la correlazione tra alcuni fattori di rischio e la suscettibilità per lo sviluppo di malattia. Un dato interessante deriva dalla presenza di una correlazione tra alterazioni in alcuni parametri di laboratorio e lo sviluppo di specifiche manifestazioni d’organo (es. anti-C1q e impegno renale, polimorfismi TRAF3IP2 e la presenza di pericardite). L’utilizzo dei nuovi criteri EULAR 2012 ha permesso un incremento delle diagnosi di Lupus anche mediante il re-inquadramento di condizioni precedentemente identificate come connettiviti indifferenziate (UCTD). Successivamente il Dott. C. Perricone ha focalizzato l’attenzione sullo stato dell’arte nella terapia con farmaci Biologici. In base alle recenti scoperte nella patogenesi del Lupus, l’attenzione si è accentrata sulla produzione di quei farmaci capaci di bloccare la via dell’ interferon alpha, di altre citochine, e l’azione delle cellule B. Ad oggi, tra i farmaci biologici solo il Belimumab è stato approvato dalla FDA e dall’EMA a seguito del successo dei trials BLYSS52 e BLYSS76. Sono stati ottenuti risultati significativi sia clinici che laboratoristici sebbene manchino dati di efficacia nei pazienti che presentano interessamento renale e/o neuropsichiatrico, per i quali l’utilizzo del farmaco non è raccomandato. Per quanto riguarda il Rituximab sono ancora controversi i dati di efficacia. In effetti, sebbene questa sia stata dimostrata nelle esperienze fuori scheda tecnica della pratica clinica, non è stata confermata in trial controllati. Altri farmaci biologici sono ancora in corso di valutazione, fra questi i più promettenti sembrerebbero essere il Tocilizumab (anti IL-6), il Sifalimumab (anti IFN-type I) e l’abatacept (CTLA4-Ig).La Dott.ssa Ceccarelli ha esposto, alla luce delle recenti rivisitazioni sia dell’EULAR che dell’ACR delle proprie raccomandazioni, i cardini del trattamento della Nefrite Lupica (NL). Il rene è uno dei principali organi colpiti in corso di LES, e nel 32-60% circa dei pazienti adulti rappresenta la manifestazione d’esordio.
Il coinvolgimento è più frequente nei primi 2 anni dalla diagnosi mentre la prevalenza di questa manifestazione si riduce dopo 5 anni. Come dimostrato dai numerosi dati riportati dalla letteratura scientifica (Cervera et al 2003), la Nefrite Lupica, ha un impatto prognosticamente negativo sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da LES. La dottoressa nel corso della presentazione ha riportato i dati relativi alla nostra coorte di pazienti afferenti alla Lupus Clinic. I pazienti attualmente seguiti sono 480, di questi il 32% presenta impegno renale, in accordo con le principali casistiche internazionali. Il tempo di latenza di esordio della NL dalla diagnosi è di circa 4 anni. Le manifestazioni prevalenti sono la presenza di proteinuria > 500 mg/24h, il 20% presenta sedimento attivo e il 14% un aumento della creatinina, la classe istologica più diffusa risulta essere la IV seguita dalla III. Rispetto agli anni ’50, quando difficilmente si assisteva ad una sopravvivenza superiore ai 5 anni, la maggioranza dei pazienti affetti da LES con impegno renale ha una sopravvivenza quasi sovrapponibile alla media della popolazione generale. Dopo un breve excursus sui meccanismi patogenetici della Nefrite Lupica, l’attenzione si è incentrata sugli obbiettivi che il Clinico moderno deve prefiggersi durante il management di un paziente con coinvolgimento renale in corso di Lupus. Conditio sine qua non, è ottenere una remissione di tale manifestazione, riuscendo a mantenere una buona funzionalità d’organo a lungo termine, utilizzando la minor quantità di farmaci possibile. Devono essere inoltre prevenuti eventuali flare di malattia, facendo attenzione sia a migliorare la sopravvivenza che la qualità di vita del paziente. Proprio in quest’ottica sono state analizzate le nuove raccomandazioni per il trattamento della Nefrite Lupica, stilate rispettivamente a giugno 2012 per l’ACR e a novembre 2012 da parte dell’EULAR. Queste raccomandazioni presentano numerose analogie ma anche sottili differenze.
In particolare queste ultime si mettono in evidenza nel momento decisionale di un’eventuale biopsia renale. Secondo le linee guida ACR vi è indicazione alla biopsia renale quando è presente una proteinuria > di 1g/24h o >500mg nelle 24 ore in presenza di emazie e/o cilindri al sedimento o per un aumento della creatinina sierica, in mancanza di altre cause. Differentemente, è sufficiente la determinazione di una proteinuria delle 24h > 500mg per avere indicazione alla biopsia secondo le linee guida EULAR. Sia l’ACR che l’EULAR sono concordi nel riconoscere come ufficiale la classificazione del 2004 della International Society of Nephrology per la valutazione istologica delle diverse classi di Glomerulonefrite Lupica. Si individuano nella gestione della Nefrite Lupica due precisi momenti terapeutici: l’induzione, che ha come scopo portare a remissione la nefrite preservando la funzionalità renale, e il mantenimento, che si prefigge per l’ appunto di “mantenere” il paziente libero da attività di malattia. L’approccio terapeutico alla Nefrite Lupica non può prescindere dalla esatta identificazione della classe istologica di appartenenza, in quanto la terapia varia con essa. Per le prime due classi, salvo casi particolari, non si usano farmaci immunosopressivi, mentre per la terza e quarta, associate a prognosi peggiore, diviene mandatorio l’impiego di farmaci immunosoppressori. Ad oggi i farmaci per la terapia di induzione si utilizzano la Ciclofosfamide ed il Micofenolato che hanno dimostrato in diversi studi un’efficacia pressoché equivalente, differendo solamente per gli effetti collaterali. Sarà dunque il medico a valutare volta per volta, a secondo del contesto clinico, quale dei due farmaci risulti più vantaggioso.
Nella sessione successiva, il Prof. R.Perricone ha trattato il ruolo del complemento nelle patologie autoimmuni, con un’attenzione particolare al LES. Come noto da tempo, il complemento è un elemento essenziale del sistema immunitario coinvolto nei meccanismi di difesa contro numerosi agenti infettivi. Infatti, la sua attivazione comporta la formazione di un gran numero di prodotti dotati di diverse attività biologiche, capaci di provocare la lisi (complesso MAC) o la fagocitosi (C3b) del batterio e quindi di difendere l’organismo da una potenziale infezione. Indubbio è anche il ruolo pro-infiammatorio di alcune sue componenti (es. C3a, C5a) capaci di elicitare una reazione infiammatoria locale. Le sue funzioni non si esauriscono qui, infatti nozioni relativamente più recenti hanno mostrato come il complemento sia un fattore fondamentale nella rimozione e quindi della successiva eliminazione di complessi antigene-anticorpo, formatisi in seguito alla risposta immunitaria rivolta verso un determinato antigene solubile. I risultati degli studi sull’azione del complemento hanno spostato l’attenzione sullo sviluppo di farmaci capaci di interferire con l’azione delle frazioni del complemento, ne è un esempio l’eculizumab diretto contro il C5, che ha mostrato risultati incoraggianti in trial eseguiti su pazienti con diverse malattie autoimmuni incluso il LES. La Prof.ssa Afeltra ha illustrato le correlazioni esistenti tra le patologie autoimmuni e il rischio cardiovascolare (CV). È noto che gli stimoli proinfiammatori cui sono sottoposti i pazienti con malattie reumatologiche possono alterare i delicati equilibri di omeostasi vascolare. Infatti nei pazienti con LES la prevalenza degli eventi CV acuti varia dal 8 al 12%, la precocità di insorgenza di infarto miocardico acuto (IMA) è 52 volte superiore alla media con una mortalità 3 volte maggiore di quella della popolazione sana. Pertanto è importante un accurato follow-up delle comorbidità associate alla patologia di base allo scopo di impostare una terapia preventiva efficace.
Le ultime 2 relazioni hanno avuto come tema principale la Sindrome di Sjögren. La Dott.ssa Priori ha esposto i nuovi criteri classificativi del 2012 stilati dall’American College of Rheumatology per la diagnosi. Questi criteri, rispetto ai precedenti elaborati dall’American-European Consensus Group, non tengono in considerazione i sintomi riferiti dal paziente, ma si basano su elementi obiettivabili. La diagnosi viene infatti posta quando sono presenti almeno due criteri tra: 1) positività degli anticorpi anti-SSA/Ro e/o anti-SSB/La o positività per il fattore reumatoide o per ANA a titolo almeno di 1:320; 2) ocular staining score >3; 3) focus score >1 focus/4mm2 alla biopsia delle ghiandole salivari minori. Le recenti rassegne mediche non riportano un aumento della prevalenza né della mortalità nei pazienti affetti da Sindrome di Sjögren, nei quali la principale causa di morte rimane l’insorgenza di Linfoma (prevalenza del 4%). Le principali manifestazioni con cui la malattia può presentarsi sono essenzialmente tre: la Sindrome Sicca, la malattia di Sjögren con manifestazioni sistemiche (riduzione delle frazioni del complemento, leucopenia, criogloblinemia, componente monoclonale all’elettroforesi proteica) e infine il Linfoma. La Dott.ssa Priori ha poi riassunto brevemente il ruolo delle diverse cellule dell’immunità e molecole infiammatorie nello sviluppo della malattia. Purtroppo, nonostante i passi avanti nella conoscenza dei meccanismi patogenetici, le strategie terapeutiche nei pazienti con Sindrome di Sjögren sono ancora oggi limitate, con l’esclusione di trattamenti locali sintomatici con farmaci muscarinici o instillazione di ciclosporina in caso di cherato-congiuntivite. Infine il Dott. Carubbi ha presentato i dati preliminari di uno studio in corso all’Università de L’Aquila circa gli effetti del rituximab in pazienti con Sindrome di Sjögren. Il razionale dello studio è basato sull’evidenza di un profondo coinvolgimento dei linfociti B nelle alterazioni architetturali patologiche al livello delle ghiandole salivari. I primi dati dimostrano che nelle ghiandole salivari di pazienti trattati con rituximab si osserva una riduzione dei centri germinativi ectopici formati dalle cellule B CD20+. Questi risultati potrebbero incoraggiare ulteriori studi sul meccanismo di azione del rituximab e di altri farmaci biologici diretti prevalentemente contro le cellule B, in grado di migliorare la qualità di vita del paziente.
Narcolepsy-the 81stAutoimmune disease. Lesson learned from adjuvanted vaccines.
Toll Like receptors in RheumatologyIl pomeriggio è stato dedicato all’approfondimento delle nuove scoperte nel campo delle connettiviti. In particolare è stato dato ampio spazio alla trattazione del Lupus Eritematoso Sistemico (LES) del quale sono stati approfonditi gli aspetti clinici e le principali opzioni terapeutiche.
L’intervento della Dott.ssa Conigliaro ha messo in evidenza la necessità di identificare la presenza di markers precoci di diagnosi per il LES. Ad oggi i dati disponibili sono numerosi ma non dirimenti. Recenti studi hanno evidenziato la correlazione tra alcuni fattori di rischio e la suscettibilità per lo sviluppo di malattia. Un dato interessante deriva dalla presenza di una correlazione tra alterazioni in alcuni parametri di laboratorio e lo sviluppo di specifiche manifestazioni d’organo (es. anti-C1q e impegno renale, polimorfismi TRAF3IP2 e la presenza di pericardite). L’utilizzo dei nuovi criteri EULAR 2012 ha permesso un incremento delle diagnosi di Lupus anche mediante il re-inquadramento di condizioni precedentemente identificate come connettiviti indifferenziate (UCTD). Successivamente il Dott. C. Perricone ha focalizzato l’attenzione sullo stato dell’arte nella terapia con farmaci Biologici. In base alle recenti scoperte nella patogenesi del Lupus, l’attenzione si è accentrata sulla produzione di quei farmaci capaci di bloccare la via dell’ interferon alpha, di altre citochine, e l’azione delle cellule B. Ad oggi, tra i farmaci biologici solo il Belimumab è stato approvato dalla FDA e dall’EMA a seguito del successo dei trials BLYSS52 e BLYSS76. Sono stati ottenuti risultati significativi sia clinici che laboratoristici sebbene manchino dati di efficacia nei pazienti che presentano interessamento renale e/o neuropsichiatrico, per i quali l’utilizzo del farmaco non è raccomandato. Per quanto riguarda il Rituximab sono ancora controversi i dati di efficacia. In effetti, sebbene questa sia stata dimostrata nelle esperienze fuori scheda tecnica della pratica clinica, non è stata confermata in trial controllati. Altri farmaci biologici sono ancora in corso di valutazione, fra questi i più promettenti sembrerebbero essere il Tocilizumab (anti IL-6), il Sifalimumab (anti IFN-type I) e l’abatacept (CTLA4-Ig).La Dott.ssa Ceccarelli ha esposto, alla luce delle recenti rivisitazioni sia dell’EULAR che dell’ACR delle proprie raccomandazioni, i cardini del trattamento della Nefrite Lupica (NL). Il rene è uno dei principali organi colpiti in corso di LES, e nel 32-60% circa dei pazienti adulti rappresenta la manifestazione d’esordio.
Il coinvolgimento è più frequente nei primi 2 anni dalla diagnosi mentre la prevalenza di questa manifestazione si riduce dopo 5 anni. Come dimostrato dai numerosi dati riportati dalla letteratura scientifica (Cervera et al 2003), la Nefrite Lupica, ha un impatto prognosticamente negativo sulla sopravvivenza dei pazienti affetti da LES. La dottoressa nel corso della presentazione ha riportato i dati relativi alla nostra coorte di pazienti afferenti alla Lupus Clinic. I pazienti attualmente seguiti sono 480, di questi il 32% presenta impegno renale, in accordo con le principali casistiche internazionali. Il tempo di latenza di esordio della NL dalla diagnosi è di circa 4 anni. Le manifestazioni prevalenti sono la presenza di proteinuria > 500 mg/24h, il 20% presenta sedimento attivo e il 14% un aumento della creatinina, la classe istologica più diffusa risulta essere la IV seguita dalla III. Rispetto agli anni ’50, quando difficilmente si assisteva ad una sopravvivenza superiore ai 5 anni, la maggioranza dei pazienti affetti da LES con impegno renale ha una sopravvivenza quasi sovrapponibile alla media della popolazione generale. Dopo un breve excursus sui meccanismi patogenetici della Nefrite Lupica, l’attenzione si è incentrata sugli obbiettivi che il Clinico moderno deve prefiggersi durante il management di un paziente con coinvolgimento renale in corso di Lupus. Conditio sine qua non, è ottenere una remissione di tale manifestazione, riuscendo a mantenere una buona funzionalità d’organo a lungo termine, utilizzando la minor quantità di farmaci possibile. Devono essere inoltre prevenuti eventuali flare di malattia, facendo attenzione sia a migliorare la sopravvivenza che la qualità di vita del paziente. Proprio in quest’ottica sono state analizzate le nuove raccomandazioni per il trattamento della Nefrite Lupica, stilate rispettivamente a giugno 2012 per l’ACR e a novembre 2012 da parte dell’EULAR. Queste raccomandazioni presentano numerose analogie ma anche sottili differenze.
In particolare queste ultime si mettono in evidenza nel momento decisionale di un’eventuale biopsia renale. Secondo le linee guida ACR vi è indicazione alla biopsia renale quando è presente una proteinuria > di 1g/24h o >500mg nelle 24 ore in presenza di emazie e/o cilindri al sedimento o per un aumento della creatinina sierica, in mancanza di altre cause. Differentemente, è sufficiente la determinazione di una proteinuria delle 24h > 500mg per avere indicazione alla biopsia secondo le linee guida EULAR. Sia l’ACR che l’EULAR sono concordi nel riconoscere come ufficiale la classificazione del 2004 della International Society of Nephrology per la valutazione istologica delle diverse classi di Glomerulonefrite Lupica. Si individuano nella gestione della Nefrite Lupica due precisi momenti terapeutici: l’induzione, che ha come scopo portare a remissione la nefrite preservando la funzionalità renale, e il mantenimento, che si prefigge per l’ appunto di “mantenere” il paziente libero da attività di malattia. L’approccio terapeutico alla Nefrite Lupica non può prescindere dalla esatta identificazione della classe istologica di appartenenza, in quanto la terapia varia con essa. Per le prime due classi, salvo casi particolari, non si usano farmaci immunosopressivi, mentre per la terza e quarta, associate a prognosi peggiore, diviene mandatorio l’impiego di farmaci immunosoppressori. Ad oggi i farmaci per la terapia di induzione si utilizzano la Ciclofosfamide ed il Micofenolato che hanno dimostrato in diversi studi un’efficacia pressoché equivalente, differendo solamente per gli effetti collaterali. Sarà dunque il medico a valutare volta per volta, a secondo del contesto clinico, quale dei due farmaci risulti più vantaggioso.
Nella sessione successiva, il Prof. R.Perricone ha trattato il ruolo del complemento nelle patologie autoimmuni, con un’attenzione particolare al LES. Come noto da tempo, il complemento è un elemento essenziale del sistema immunitario coinvolto nei meccanismi di difesa contro numerosi agenti infettivi. Infatti, la sua attivazione comporta la formazione di un gran numero di prodotti dotati di diverse attività biologiche, capaci di provocare la lisi (complesso MAC) o la fagocitosi (C3b) del batterio e quindi di difendere l’organismo da una potenziale infezione. Indubbio è anche il ruolo pro-infiammatorio di alcune sue componenti (es. C3a, C5a) capaci di elicitare una reazione infiammatoria locale. Le sue funzioni non si esauriscono qui, infatti nozioni relativamente più recenti hanno mostrato come il complemento sia un fattore fondamentale nella rimozione e quindi della successiva eliminazione di complessi antigene-anticorpo, formatisi in seguito alla risposta immunitaria rivolta verso un determinato antigene solubile. I risultati degli studi sull’azione del complemento hanno spostato l’attenzione sullo sviluppo di farmaci capaci di interferire con l’azione delle frazioni del complemento, ne è un esempio l’eculizumab diretto contro il C5, che ha mostrato risultati incoraggianti in trial eseguiti su pazienti con diverse malattie autoimmuni incluso il LES. La Prof.ssa Afeltra ha illustrato le correlazioni esistenti tra le patologie autoimmuni e il rischio cardiovascolare (CV). È noto che gli stimoli proinfiammatori cui sono sottoposti i pazienti con malattie reumatologiche possono alterare i delicati equilibri di omeostasi vascolare. Infatti nei pazienti con LES la prevalenza degli eventi CV acuti varia dal 8 al 12%, la precocità di insorgenza di infarto miocardico acuto (IMA) è 52 volte superiore alla media con una mortalità 3 volte maggiore di quella della popolazione sana. Pertanto è importante un accurato follow-up delle comorbidità associate alla patologia di base allo scopo di impostare una terapia preventiva efficace.
Le ultime 2 relazioni hanno avuto come tema principale la Sindrome di Sjögren. La Dott.ssa Priori ha esposto i nuovi criteri classificativi del 2012 stilati dall’American College of Rheumatology per la diagnosi. Questi criteri, rispetto ai precedenti elaborati dall’American-European Consensus Group, non tengono in considerazione i sintomi riferiti dal paziente, ma si basano su elementi obiettivabili. La diagnosi viene infatti posta quando sono presenti almeno due criteri tra: 1) positività degli anticorpi anti-SSA/Ro e/o anti-SSB/La o positività per il fattore reumatoide o per ANA a titolo almeno di 1:320; 2) ocular staining score >3; 3) focus score >1 focus/4mm2 alla biopsia delle ghiandole salivari minori. Le recenti rassegne mediche non riportano un aumento della prevalenza né della mortalità nei pazienti affetti da Sindrome di Sjögren, nei quali la principale causa di morte rimane l’insorgenza di Linfoma (prevalenza del 4%). Le principali manifestazioni con cui la malattia può presentarsi sono essenzialmente tre: la Sindrome Sicca, la malattia di Sjögren con manifestazioni sistemiche (riduzione delle frazioni del complemento, leucopenia, criogloblinemia, componente monoclonale all’elettroforesi proteica) e infine il Linfoma. La Dott.ssa Priori ha poi riassunto brevemente il ruolo delle diverse cellule dell’immunità e molecole infiammatorie nello sviluppo della malattia. Purtroppo, nonostante i passi avanti nella conoscenza dei meccanismi patogenetici, le strategie terapeutiche nei pazienti con Sindrome di Sjögren sono ancora oggi limitate, con l’esclusione di trattamenti locali sintomatici con farmaci muscarinici o instillazione di ciclosporina in caso di cherato-congiuntivite. Infine il Dott. Carubbi ha presentato i dati preliminari di uno studio in corso all’Università de L’Aquila circa gli effetti del rituximab in pazienti con Sindrome di Sjögren. Il razionale dello studio è basato sull’evidenza di un profondo coinvolgimento dei linfociti B nelle alterazioni architetturali patologiche al livello delle ghiandole salivari. I primi dati dimostrano che nelle ghiandole salivari di pazienti trattati con rituximab si osserva una riduzione dei centri germinativi ectopici formati dalle cellule B CD20+. Questi risultati potrebbero incoraggiare ulteriori studi sul meccanismo di azione del rituximab e di altri farmaci biologici diretti prevalentemente contro le cellule B, in grado di migliorare la qualità di vita del paziente.
Si ringraziano i Dott.ri Enrica Cipriano e Francesco Martinelli per la stesura di questo articolo.